
Vivian Lamarque è davvero incredibile: attraverso il suo ultimo libro di poesie ci fa sentire che la vita non è solo terribile. Certo, l’esistenza comporta una buona dose di angoscia a causa della sua inevitabile fine (e l’esistenza non è più significativa o intensa perché non dura in eterno, lo ha dimostrato Delillo in Rumore Bianco con la certezza stringente del sillogismo aristotelico).
Eppure, nonostante la paura dell’ignoto che prima o poi attanaglia noi tutti, Lamarque ci parla di quella parte di esistenza che è tutt’altro che angoscia. E lo fa alla soglia dei suoi ottant’anni, quando riconosce che la morte inizia ad avvicinarsi sul serio e le comincia a passare per la mente che alzarsi la mattina non sia poi così scontato. La poetessa sa che la vita è appesa a un filo ed è così che la descrive, senza giri di parole o eufemismi.
Alla sua età
è normale morire.
Nessuno si meraviglia
se uno alla sua età
muore.
Nessuno.
Ma lei sì!
Lei che sarei io, sì.
Sì, lei si meraviglierà,
io mi meraviglierò.
Tanto!
(Alla sua età)
Nelle parole di Lamarque la morte vuole essere allontanata, rimandata ancora un poco, perché, certamente, spaventa. Ma non solo: meraviglia, cioè desta lo stupore proprio delle cose ignote e inaspettate, di cui non conosciamo nulla e di cui facciamo esperienza per la prima volta. Forse un giorno ci meraviglieremo quando il lume dello sguardo sarà definitivamente spento; forse vedremo con altri occhi o sentiremo con altri sensi, con altri organi. L’interrogativo attraversa il libro di Lamarque: che ne sarà di noi, ritorneremo docile fibra dell’universo?
Oh presto saremo boschi tutti quanti insieme?
Avremo cuori d’erba? di radici?
Orfei ed Euridici indietro vòlti
non ti vedremo mai più luce di sole?
Saremo presto boschi tutti quanti insieme?
da una vita passeremo a un’altra, dove? come?
privi dell’azzurro della neve?
privi dell’amore nelle vene?
(vv 19-26, I nomi degli amanti)
In queste poche righe è racchiuso il maggior problema gnoseologico per l’uomo, eppure tutto si risolve con l’anagramma neve/vene che, con il suo ritmo ripetuto e sospeso, rimane come un’eco nella mente del lettore. Gli interrogativi non possono avere risposta, ma Lamarque nella chiusa ci invita a cogliere la semplice e inspiegabile bellezza dell’esistenza: il calore dell’amore dentro di noi, la vastità di un mondo che libera e stupisce al di fuori.
I nomi degli amanti, poesia d’incipit, ci parla della morte come l’ultima sezione del libro, dove il “fallimento del risveglio” (v.3, Capaci tutti anche le violette) diventa un problema di “saracinesche guaste” (v.7).
La poetessa attinge al primo Novecento italiano per parlarci dell’ignoto con il vocabolario della quotidianità, non disdegnando di fare poesia con gli oggetti più semplici e le immagini più care della propria vita. E la meraviglia risiede proprio qui: nell’interrogarne il mistero attraverso i minuti più preziosi della propria quotidianità, che sono rievocati con incantevole purezza.
Tra i momenti di delicata riflessione sul fine della vita, Lamarque ne riavvolge il filo, che si impiglia su ricordi autobiografici: esperienze per lo più brevi e non eccezionali, ma memorabili, perché in fondo “Da minime cose è attratta” (v. 1 Da minime cose). Dunque leggiamo della nipote, di amori passati, di quelli non corrisposti, di viaggi in treno, del mare, di notti trascorse a scrivere, di fantasticherie. Tutto trasformato in parole con garbo e chiarezza e ordinato in versi piacevolissimi da leggere, la cui misura varia dal verso lungo salmico al bisillabo. Quella che Lamarque ci consegna con L’amore da vecchia è un eredità preziosa, una riflessione sulla vita trascorsa e su ciò che ne è rimasto al tramonto. È un canto d’amore per i momenti più semplici, per la famiglia, gli uomini, per la natura e la città che circondano la poetessa, per la sua casa e, naturalmente, per la scrittura. È un invito ad amare e apprezzare i giorni che trascorriamo, le persone che incontriamo e le parole che leggiamo. Infine, è un racconto di come, anche da vecchia, sia intenso il suo amore per la vita.
Di cosa ne sarà dopo, in fondo, non ne sappiamo nulla.
Non ne scrivono loro.
Da morti non si scrive più.
Non ce ne inviano più –
Di poesie –
I morti.
(nemmeno una?)
(Non ne scrivono loro)
Il 2023 è stato il primo anno in cui è stato assegnato un Premio Strega anche per la sezione poesia e Vivian Lamarque, nella meravigliosa cornice del Colosseo, se l’è aggiudicato per questo libro il 5 ottobre 2023, a 78 anni.