
Sándor Márai nacque all’inizio del XX secolo in Ungheria, si formò nel cuore della cultura mitteleuropa e visse durante quello che lui stesso chiama “il tempo del cambiamento”. Dovette, infatti, affrontare due guerre mondiali e la condizione di esiliato, senza voler dare nessun contributo bellico al mondo in sfacelo intorno a lui. Sentiva, tuttavia, di avere un compito: scrivere; e forse è stato questo a mantenerlo in vita per 89 anni, fino a quando non decise di suicidarsi.
Questa premessa è essenziale per comprendere la profonda ispirazione autobiografica del romanzo, che per metà consiste in un lungo monologo, quello del generale. Protagonista di questo libro, è controfigura dell’autore e ci permette di entrare in contatto con i suoi intimi pensieri e le domande sulle questioni ultime dell’esistenza. Una prolungata solitudine ha portato il generale a tirare le somme della propria vita ed è pronto alla resa dei conti con il suo ospite: un uomo che non vede da quarantun anni.
Dalle parole dei due, emergono il senso di estraneità e spaesamento in un mondo che non è più quello della loro giovinezza, la perdita della patria, il legame che può esistere tra amicizia e vendetta.
Tutto ruota intorno a un segreto, che viene svelato con lentezza, e a una domanda: conosciamo davvero chi ci sta accanto?